04 Giu UNA PREZIOSA TESTIMONIANZA CON RADICI NEL PASSATO, PER NON DIMENTICARE… MAI !
Questa testimonianza ce la invia Giulia, che ringraziamo immensamente per il suo contributo a mantenere vivo il passato e soprattutto a ricordare quanto possano essere pericolose alcune malattie nonostante non se ne percepisca più diffusamente la presenza da decenni grazie alle pratiche vaccinali…
Al di là degli adagi popolari “si stava meglio quando si stava peggio… i nostri
nonni si curavano con la natura e vivevano benissimo e a lungo…” chiunque di
noi sa che “ai bei tempi” la vita media era circa la metà della nostra e, purtroppo,
malattie infettive oggi dimenticate la facevano da padrone e mietevano vittime.
Anche giovani, giovanissime.
Un tempo, rispetto alle malattie infettive, l’atteggiamento era improntato ad un
rassegnato fatalismo: ci sono le epidemie, i bambini muoiono facilmente, meno
male che abbiamo tutti 5-6 figli, son disgrazie…
Noi abbiamo avuto la fortuna di non vedere amichetti o fratelli ammalarsi di
vaiolo, poliomielite o difterite – non abbiamo visto i nostri cari sfigurati dalle
pustole, paralizzati, soffocare nel pus, rattrappirsi per il tetano.
Ci è stato risparmiato di assistere a questi drammi che qualsiasi nonnina in vena
di ricordi può rievocare vividamente. Ogni vecchio cimitero ha angoli
disseminati di antiche croci ed angeli a ricordo di piccole vite stroncate da
malattie che oggi pensiamo lontanissime.
Mia nonna ha perso due fratelli per colpa di malattie infettive che oggi sono
reputate praticamente fantasmi e tra gli anni ’30 e ’40 erano comunissime.
Un fratellino di tre anni quasi quattro “era bellissimo, tutto biondo”, lo ricorda
ancora, quasi ottant’anni dopo. Bellissimo, biondo e sfortunato, morto di difterite
come tanti altri coetanei. Un dolore che non passa nemmeno dopo tutta una vita,
sopportato con rassegnazione: “all’epoca si moriva, i bambini morivano, non
c’erano mica queste diavolerie dei professori…”. Un angioletto biondo perduto,
come tanti altri sfortunati coetanei. Zio “Enzino”, uno dei tanti bambini
sfortunati che non hanno superato l’infanzia.
Un’altra sorella contrasse la polio attorno ai dieci anni.
La polio. La paralisi infantile: chiediamo a chiunque abbia più di 50 anni cos’era
la poliomielite. Lo spettro di generazioni di genitori e bambini. Morire o restare
disabili a vita, alcuni completamente paralizzati nel polmone d’acciaio che
“respirava” al posto del malato. Finché il corpo reggeva.
La polio che negli anni Quaranta e Cinquanta infieriva nell’Europa risaziata dopo
la guerra e negli USA, definita “l’epidemia delle case pulite”, perché colpiva
anche nelle abitazioni della classe media che pensava, grazie alla pulizia, ai
miracoli dell’acqua corrente e della radio e della tv e delle vitamine, della “roba
americana”, di poter fare crescere i propri figli senza pericolo.
La prozia fu una di questi ragazzi sfortunati. Contrasse la polio, stette male, poi
malissimo, poi si riprese. Sopravvisse con la schiena deformata ed i polmoni
distrutti. Sopravvisse ed amò la vita fino all’ultimo giorno. Le statistiche le
avrebbero dovuto garantire almeno 80-85 anni di vita. Lei ne ha avuti 47
appena, gli ultimi mesi nel polmone d’acciaio.
Sono storie dolorose che quasi ogni nonna può raccontare ai nipoti, assieme alle
favole dell’infanzia. Le storie di un’Italia di settanta, ottant’anni fa in cui era
normale perdere i figli per malattie reputate misteriose, invincibili “son
disgrazie”. Penso che la vita offra già abbastanza occasioni di sofferenza senza
bisogno di aggiungerne altre.
GIULIA
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