Il girone degli Anti-Vax

20 Feb Il girone degli Anti-Vax

Luogo è in inferno detto Malebolge
tutto di pietra e di color ferrigno
come lo muro che d’intorno l’avvolge.
E proprio al centro di quel campo maligno,
in fondo alla valle dell’umano sturbo,
vi son quattro figuri orribilmente scossi
e dimoni che d’intorno vanno a turbo.
Il Duca mio disse: “Quei fossi
nascondon quattro tormenti e frustatori
che sono pena di chi in altra vita
usò di Scienza come i peccatori
e fe’ sì che la folla fu smarrita”.
Il primo dannato parvemmi amico
“Ti prego -diss’io- dimmi favella
ch’io la riporti a quel mondo antico!”
“Ah-diss’egli-per falsa novella
fui posto quaggiù in questo loco oscuro
e mentre un dimonio m’inforca il deretano
lesto corro per mettermi al sicuro.
Raggiunger vorrei quegli agnelli ma invano!
Menzogna diss’io sul protettivo gregge
e scienza mescolai con opinioni,
sì che ora questa è l’amara mia legge:
devo inseguir per sempre i pecoroni!”.
Dall’altra parte di quel loco tetro
vidi un omino che correa lesto
mentre un vespone lo pungeva retro.
Diss’io; “Orsù, chi ti rubò il vesto?”
Le membra avea tutte punzecchiate
e senza braghe nè pudor di sorta:
“Ah, io fui di quelli a cui son imputate
le leggende di un sol vaccin per volta.
Ai genitori paventai gran danno
al protegger il putto da più malattie
e dissi di aspettare almeno un anno
senza vergogna per queste dicerie.
Or qui corro col vespone retro
senza potermi fermare un solo istante
e un puntaspilli è ormai il mio didietro”.
Mentr’io andava, li occhi miei davanti,
non vidi quei che ginocchioni basso,
dolente per le sferze del demonio,
con del sapon lustrava Satanasso.
“E tu, chi fosti, per cosa avesti il conio?”
“Io dissi che il sapone e la verdura,
non già i vaccin, sconfisser pestilenza
e or son qui, sotto una legge dura,
a lustrar e meditar su mia credenza.
Ma più lustro, più Satanasso insozza
e non v’è fin per questa mia iattura
per aver detto una verità sì mozza!”
Tosto mi levai con gran paura,
di finir sotto ad un carro strano:
“Maestro- diss’io -chi guida furente?
parvimi infatti un meschino marrano!
E qual fece in vita, perché fu fetente?”
Ed elli a me: “La peggior sorte
è toccata a chi del curatore inglese
riportò le teorie per quanto storte
e di gran mal fu cagione nel paese.
Disse colui, imbrogliando i dati
che quel che previen morbillo, parotite e rosolia
grande periglio porta ai bimbi nati”.
“Maestro – diss’io – eppur va via.
Non parvimi dunque una crudele pena
poter fuggir da questa oscura fossa!”
Lo maestro mio guardommi come iena,
poi favellò con la sua faccia rossa:
“Tu non conosci quale sorte amara!
Quell’omo va nella città dolente
e qual ti pare cosa gradita e rara,
nella realtà è affare assai fetente.
Che egli paventò l’autismo è male
Sì che l’autobus guida nella città del Papa
in mezzo allo giron del traffico infernale
e li lamenti lo fanno uscir di capa!
Odi gridar sì folla che pare una sommossa?
E’ gente che lo aspetta alla fermata…”
“Ma li mortacci tua e datte ‘na mossa!
So du’ ore che aspetto, mo famo nottata,
c’è ‘na lumaca che te sta a fa’ li fari!
E mo te gonfio come ‘na zampogna!”
Ed io capii quali momenti amari…
e quale destino e profonda vergogna.
Appresso ciò, uscimmo noi dal fosso
e il Duca a me: “Non voglio che paventi-
disse vedendomi sì fioco e scosso-
lasciali meditar quel losco inganno
e le colpe che li fecero dolenti
e come al mondo nascosero il malanno!”.

 

 

 

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